(Cichorium intybus)
(dialettale: radicio)
La sua grossa radice a fittone sprofonda nel buio della terra e con molta difficoltà si lascia strappare tutta intera dalla sua sede da dove alimenta una rosetta di foglie ruvide, inferiormente pelose e con margini sinuosi ed intagliati.
Esse, dal sapore assai amaro ma ricche di sostanze utili, vengono spesso raccolte per le loro virtù medicinali note fin dall'antichità.
Questo succede nel primo anno di vita: ma nel secondo le materie di riserva accumulate nella radice producono un fusto eretto, alto e flessuoso, molto ramificato fin dalla base.
Su di esso si formano foglioline cigliate, rossicce che si aprono a coppa per proteggere l'infiorescenza solitaria o a gruppi di 2-3.
I fiori, di un azzurro che ricorda certi cieli dipinti, osservati al mattino quando si risvegliano e si riaprono, danno a chi li contempla una serenità ed una freschezza d'idee come pochi altri; non per nulla un tempo era considerata un'erba consacrata al sole.
Ogni linguetta, delicata come seta, corredata da dentini che coronano l'estremità libera dei petali, più chiari verso l'attaccatura, s'appoggia sulle altre dando origine a graziose girandole che sembrano su punto di ruotare.
Nel centro stanno radunati i fiori con stami e pistilli, protetti dall'umidità e dalla mancanza di sole dagli esterni che si rinchiudono sopra il centro del disco. Mirabile distribuzione di compiti al fine di preservare intatta la forza fecondante del polline.