(Asphodelus albus)
(dialettale:)
Secondo gli antichi, l'asfodelo è il fiore del giardino ultraterreno, dove sono collocati i defunti che in vita non sono stati nè buoni nè cattivi.
Incontrarne un prato pieno, come è capitato a me in Valpiana, è stato dunque come visitare una delle case dei morti, tanto più che è simbolo del ricordo e della malinconia.
Chissà se questa credenza dipende dall'aspetto di questo fiore: un po' sì, forse, ad esempio per la tinta di alcune sue parti, verde cupo e nero, accanto al bianco e al giallo carico. Spicca anche il contrasto tra l'aspetto severo del fusto, alto e massiccio, avvolto da foglie larghe, piatte e leggermente ricadenti a doccia, e il candore del fiore stellato che, quando è aperto, mette in mostra sei tepali bianchi venati al centro di una linea verde e sei robusti stami con antere dorate.
È una liliacea prudente questa: infatti, le sue radici si ingrossano, si gonfiano, per nutrire qualche gemma dimenticata nella parte inferiore del fusto e che sarà quella da accudire e portare a nuova vita nella primavera successiva.
Proprio questo bulbo rizomatoso era ritenuto la parte migliore e, in tempi lontani, era usanza mangiarlo con i fichi o cucinarlo nella cenere con aggiunta di sale ed olio. Perfino Pitagora ne era ghiottissimo, e gli ha fatto certamente bene!
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