(Rosa canina)
(dialettale: rosa selvarega)
Non si direbbe proprio che un ciliegio, una potentilla, un nespolo, una fragola siano imparentati tra loro e con la rosa: la loro caratteristica comune è il fiore formato da 5 petali e da un calice con 5 sepali ben visibili e distinti tra loro.
Naturalmente gli umani, nel loro delirio di onnipotenza, hanno ben presto deciso che così non andava bene; bisognava far sì che le rose diventassero rifiorenti, più profumate e potessero fregiarsi di una corolla con almeno un centinaio di petali.
Per fortuna la rosa canina è riuscita a mantenersi semplice ed essenziale nella sua conformazione, giungendo a noi da epoche remote, adattandosi alle situazioni più diverse e continuando a rappresentare svariati significati simbolici che vanno dalla fragilità alla bellezza, al fascino femminile, ai riti dell'amore, alla metafora del tempo che scorre.
La pianta si sviluppa nelle siepi e nel sottobosco formando delle macchie mediante l'intreccio di rami sarmentosi, difesi da aculei dall'aspetto intimidatorio per la notevole stazza, ed impreziositi da foglioline lucide riunite in numero dispari su un picciolo comune.
I fiori grandi, con petali di un lieve pallore rosato prima morbidamente avviluppati su se stessi, poi vistosamente distesi e talvolta incurvati a difesa degli stami dorati, sono completati da un calice carnoso e tepali vistosi.
Non per sciupare tutti i pensieri poetici che questa regina dei fiori ha fatto nascere, ma anche per essa gli uomini hanno individuato un elemento prosaico: i suoi frutti, che poi sono falsi, anforette dal lucidissimo rosso acceso isolate o a ciuffi in cima ai rami,
Mentre scientificamente sono stati denominati pomposamente cinorròdi, volgarmente sono gratta-culo e qui da noi 'stropacui', per la loro capacità, naturalmente sotto forma di infusi e decotti, sciroppi e marmellate, di arrestare diarree, crampi, nausee e digestioni difficili.