(Leontodon hispidus)
(dialettale: radicela)
I prati fertili dopo l'ultima falciatura, ed anche i pascoli, si riempiono dei fiori dorati del dente di leone comune, i quali però non riescono a farli brillare come quando, in primavera, il tarassaco li riempie e li ravviva completamente per la vicinanza dei suoi grandi capolini.
Per ogni stelo di leontodon che s'innalza privo di foglie c'è un capolino, dapprima rivolto verso il basso, ma che poi si rialza e distende i suoi fiori, di grandezza ridotta e più distanziati uno dall'altro, originando un effetto punteggiatura sui terreni.
L'involucro ha forma allungata con squame lanceolate che accompagnano per lungo tratto i fiori, tutti con una lunga lingua leggermente dentata sul bordo e tinti di giallo vivo superiormente e sfumati di rosso nella parte inferiore.
All'interno di ciascuno spiccano 5 stami che circondano uno stilo filiforme, protetti dai lobi allungati di ogni fiore, che si rinchiudono a sera o in caso di maltempo.
A livello del suolo stanno foglie disposte a rosetta che mostrano diversi lobi con margini sinuosi costellati di denti acuti e percorse da una nervatura centrale rossiccia che si prolunga in un picciolo rossastro; a questa forma dentellata si riferisce il nome altisonante che deriva da 'leon - leone' e 'odous - dente'.
E sul finire dell'inverno sono tra le prime a comparire belle, verdi e fresche, tanto da diventare cibo cotto o crudo per gli umani che le sanno riconoscere.