(Salvia pratensis)
(dialettale: salvia selvarega)
Da piccoli non si sapeva nulla di leve e fulcri, ma si sfruttavano i loro principi per giocare: uno dei divertimenti, quando la bella stagione permetteva di sostare a lungo nei prati, era infilare uno stelo d'erba nella 'bocca' della salvia dei prati, spingerlo contro una piccola conca nel fondo per il gusto di far muovere verso il basso un lungo archetto biancastro e gridare:-Magia!
Questo congegno nascosto nel fiore è una struttura di straordinaria efficienza ideata dalla pianticella per favorire l'impollinazione: il labbro superiore, derivato da 2 petali saldati tra di loro, a forma di cappuccio ricurvo, contiene le parti terminali di stami e pistillo; il labbro inferiore formato da 3 petali concresciuti facilita l'appoggio degli insetti, di solito api.
Essi, spingendo verso il fondo alla ricerca del nettare, fanno scattare il meccanismo: premendo una specie di valvola a cucchiaio derivata da uno stame sterile obbligano lo stame sul braccio lungo a curvarsi verso il basso e a rovesciare il suo contenuto su di loro.
In pratica un piccolo spostamento del braccio corto si traduce in un contemporaneo ampio spostamento del braccio lungo che torna nella posizione ordinaria quando l'insetto si ritira.
Continuando le visite, prima o poi l'ape troverà un fiore con gli stami ormai avvizziti, ma con lo stilo più incurvato in modo da poter lambire il suo corpo ed impollinarsi.
I fiori hanno un aspetto elegante e fresco, e ravvivano i prati con il loro colore azzurro-violaceo contrastante con i gialli dei ranuncoli e i bianchi delle margherite.
Si sviluppano a spiga su un fusto quadrangolare e poco ramoso che proviene dal centro di un cespo di foglie ruvide e bollose superiormente, leggermente pelose di sotto.
Pestiamo, tagliamo, estirpiamo questa pianta senza pensarci: eppure in tempi lontani Carlo Magno ordinò che avesse un posto d'onore in ogni orto, perché già il suo nome dal latino 'salvus- sano, salvo' dice tutto.