(Trifolium campestre)
(dialettale: strafoi gial)
L'incontro con il trifoglio campestre è avvenuto in un pascolo ancora in funzione dove un buon numero di vacche con i loro vitellini al seguito pascolava: sicuramente per loro questa leguminosa rappresenta un prezioso alimento ricco di sostanza, difatti poche erano le piante residue e situate in angoli difficilmente raggiungibili ed esposti al sole.
La prima impressione è stata di meraviglia per il quadretto offerto dalle infiorescenze molto fitte e ciascuna con una sfumatura diversa, dal giallo chiaro, al dorato, al paglierino, al fulvo, all'ocra, al marrone, una tavolozza con l'intera gamma di questo colore.
Ben al di sotto di questi capolini densi di fiori, rade foglie ellittiche, accompagnate da stipule allargate alla base, avvolgenti quasi come un collettino picciolo e gambo, con il loro verde intenso li fanno risaltare come piccole lampade cinesi accese.
Osservando poi nel dettaglio ogni fiore, ben addossato agli altri tutti disposti a spirale attorno all'apice, si scopre un calice verdastro con 5 denti di cui 2 più lunghi e il vessillo della corolla detta papilionacea, perché ricorda una farfalla, di dimensioni notevoli, ripiegato all'ingiù con nervature marcate, margine con lobi acuminati ma poco profondi, del tutto simile alla valva di una conchiglia.
Un vero gioiello da appuntare nella memoria, la cui scoperta casuale è stata forse propiziata dalla fortuna dovuta al fatto che si aveva a che fare con un tri- folium, immagine vegetale del 3.