mercoledì 1 maggio 2013

Buon Enrico

(Chenopodium Bonus-Henricus)

(dialettale: peruc)


Finalmente un nome degli umani ad una pianta e, per di più, secondo l'aneddoto, un nome regale perché si riferirebbe ad Enrico IV di Navarra, vissuto nella seconda metà del 1500, ricordato per aver cercato  di migliorare le condizioni miserevoli dell'agricoltura del tempo.

Il buon Enrico vegetale assembla in sé la caratteristica di essere una pianta 'selvatica', perché cresce spontaneamente presso baite, stalle, mulattiere di montagna, ma anche 'civilizzata', dato che si sviluppa se il terreno è ricco di sali nitrosi, cioè dove il pastore ha fatto pascolare il suo bestiame.


I suoi giovani germogli e le foglie più tenere già nei tempi antichi erano diventate cibo per l'uomo, per il gusto affine a quello degli spinaci. Nasce da un grosso e robusto rizoma giallognolo che scende molto in profondità ed è difficile estirparlo del tutto.

Da questo hanno origine dei fusti incavati su cui s'innestano foglie triangolari simili ad una  freccia o ad  una zampa d'oca, disposte in modo alterno fino all'apice dove svetta una densa infiorescenza, composta da varie spighe fiorali a loro volta portanti tutt'attorno ciuffi di fiori che tendono ad assumere la forma di spighetta.


I fiori minutissimi non hanno calice e corolla distinti, mostrano da 2 a 5 tepali erbacei fusi alla base e 5 stami, ma soltanto quelli alla sommità delle spighe, dove forse ricevono più luce e calore, mentre gli altri ne mostrano in numero minore.


Il colore si confonde con quello delle foglie, verde oliva che vira verso il bruno-giallognolo e  tutta la pianta sembra cosparsa da una leggera polvere grigiastra che però è un insieme di numerosi peli vescicolosi di minime dimensioni.

L'impollinazione avviene per mezzo del vento, perché, così anonimi come sono i fiori anche se assemblati in gran quantità, ben pochi li degnano  di un'occhiata, né li visitano e difatti la loro punta fiorita nella maturazione s'allunga sempre più , si china, ondeggia leggera.