martedì 4 giugno 2013

Barba di becco

(Tragopogon pratensis)

(dialettale: lat e cuc)



Si dice che il nome derivi dal greco 'tragos - caprone e pogon - barba', alludendo alla forma della radice oblunga che ricorda la barba di un caprone.
A dir la verità anche l'aspetto del suo fiore giallo brillante, solitario e piuttosto arruffato per la differenza di lunghezza dei petali sovrapposti che si ripiegano in varie direzioni, richiama proprio quell'animale.



Ha la prontezza, quando l'aria si fa umida e il cielo si rannuvola, di incurvare la cintura esterna dei petali, che vanno ad avvolgere come un impermeabile il fiore.

Al ritorno del sole i fiori minuscoli riappaiono: nella parte più esterna del capolino, vi sono quelli con una lingua abbastanza lunga e sfrangiata in punta, mentre nella parte centrale, impiantati come spilli, vi sono dei semplici fili addossati fittamente gli uni agli altri.



Il tutto è completato da foglie lisce, dilatate alla base e poi sempre più aguzze, leggermente increspate all'apice che ricadono mollemente verso terra nonostante la presenza di una nervatura centrale molto pronunciata che evidentemente non serve a tenerle erette.