martedì 21 maggio 2013

Faggio

(Fagus sylvatica)

(dialettale: faghèr)


A volte pare proprio un gigante questo albero, ben piantato su uno o più tronchi dalla liscia corteccia grigiastra, con una chioma densa ed allargata che sembra voglia abbracciare il mondo: appare solenne  e venerabile come una cosa antica, e difatti già nell'antichità era considerato uno degli 'arbores felices' dal cui legno si ricavavano le coppe usate per i sacrifici.

Ed anche per altri usi importanti fu impiegato, ad esempio nel legno del faggio s'intagliarono le prime scritture delle lingue indoeuropee, da cui derivò il tedesco 'buch' originatosi da un'antica radice germanica 'bòk' imparentata con 'beek - faggio'.

Sta a suo agio in quei versanti dei rilievi dove stazionano a lungo nebbie e nubi basse, impregnando l'aria d'umidità: da eleganti ed appuntite gemme oblunghe si sviluppano foglie, inizialmente ripiegate a fisarmonica, le quali gradualmente s'appiattiscono mettendo in bella mostra le nervature che terminano con un piccolo dente sui margini alleggeriti da una lieve peluria.

I fiori sulla stessa pianta sono diversi: i maschili si presentano a ciuffi in amenti che penzolano leggeri con calici e corolle campanulati e pelosi, i femminili solitari o a coppie sono chiusi in una specie di coppa verdastra cosparsa di morbidi spini.


Quest'ultimi fecondati daranno origine alle faggiole, frutti commestibili, usate come alimento per gli animali ma anche per gli umani, che un tempo quando la fame era una cosa seria li abbrustolivano come castagne, li tostavano per fare il caffè o li schiacciavano per ottenere l'olio.