venerdì 21 giugno 2013

Rovo

(Rubus fruticosus)

(dialettale: roai)


Non gode di buona fama il rovo: già protagonista di una parabola del Libro dei Giudici nella quale si insinua che la conquista del potere anche tra le piante è spesso di chi non ha altro da offrire se non la propria arroganza, citato speso nella Bibbia dove impiglia qualcuno, indicato nella fiaba di Rosaspina come ostacolo insormontabile per i principi che la vogliono risvegliare, ricordato nel Rinascimento come simbolo di ogni sorta di vizi.

Naturalmente queste dicerie scaturiscono dal fatto che tutta la pianta, fusti, piccioli, retro delle foglie, grappoli dei fiori sono muniti di innumerevoli spine ricurve ed aguzze che, se ti agganciano, ti straziano.


Eppure all'apparenza sfoggia eleganti rami inarcati, foglie a 3 o 5 riunite insieme in una foglia composta la quale, d'autunno, si tinge d'un bel rosso violaceo come i suoi frutti e come i nuovi getti primaverili; se le gemme all'apice toccano terra, sono in grado di sviluppare radici e conquistare rapidamente nuovi territori.

L'elemento più debole è il fiore: quando il bocciolo biancastro si dischiude, i 5 petali appaiono spiegazzati come un tessuto di lino non stirato; non ha nettare e la sua esistenza si conclude in poche ore.


Per fortuna porta numerosissimi stami che, caduti i petali, s'abbassano e stanno aderenti al gambo formando un ricettacolo spugnoso sul quale gli stili  si gonfiano facendo apparire piccole drupe prima verdi, poi rossastre, infine nere e succose.

E con la loro dolcezza sono le vere ammaliatrici, capaci di far dimenticare la prepotenza e la violenza che ad ogni contatto il rovo usa.