domenica 30 giugno 2013

Erba zolfina

(Galium verum)

(dialettale: erba da formai)

Pianta in apparenza delicata e fragile per questo misto di foglioline e fiori che sembra un leggerissimo velo gialloverde, è invece una perenne che s'adatta anche a terreni non molto ospitali come i sabbiosi e i sassosi; nei prati supera talvolta in altezza le altre piante, ma il fusto si lascia ricadere  trascinandole in basso, avendo l'accortezza di rimanere al di sopra in modo di poter godere della luce solare.


Le foglie, ridotte quasi a corti fili con nervatura centrale evidente, sono posizionate tutt'attorno ai nodi che mostrano distanze regolari; esse rimpiccioliscono man mano che ci si avvicina all'apice o nei rametti laterali dove convivono foglie e fiori.

Le infiorescenze sono lunghe pannocchie che nel pieno dello sviluppo assumono forma arrotondata, costituite da tutti questi peduncoli uscenti alle ascelle delle foglie a cercine, fino alla sommità e portanti minifiori con corolla simmetrica di 4 lobi acuti.


Tra essi s'intercalano 4 stami con antere scure e un pistillo con stimma a pallina; i fiori sono di color giallo vivo, noti per la loro proprietà tintorie, usati quindi per ricavare la tinta giallo oro.

Inoltre, per l'elevata acidità dei principi essenziali che il galium contiene, fa rapprendere il latte, da cui il suo nome comune di caglio; un tempo veniva impiegato nella lavorazione del latte per ottenere il formaggio, che penso sarà stato ben giallo!


sabato 29 giugno 2013

Erba peperina

(Filipendula vulgaris)

(dialettale: )


A giugno certi prati umidi e torbosi di Valpiana sembrano avere due piani: quello basale con erbe e fiori multicolori di limitata altezza e quello aereo composto da un mare di cime a forma di ombrella  floreale bianco-crema, sostenute da alti fusti eretti, rossigni, lievemente ondeggianti nella brezza di monte.

Anche questa pianta, come la sorella olmaria potrebbe essere chiamata 'regina dei prati' dato che, per un breve periodo occulta e domina il resto della vegetazione.


Si sviluppa da un rizoma strisciante con radici ingrossate, recanti tuberetti peduncolati da cui il nome da 'filum - filo e pendulus - appeso'.

Le foglie alla base sono composte da innumerevoli parti in numero dispari, doppiamente dentate, simili quasi a felci; quelle del fusto che sono all'origine abbracciate da stipole irregolari, sono più corte e semplici.


Esse persistono fino alla suddivisione del gambo in più steli recanti prima dei boccioli talvolta rosati simili a perline e poi fiori profumati con 5 sepali triangolari, 5 petali bianco-crema ben appressati gli uni agli altri e stami vistosi che superano in lunghezza i petali.


Anche i frutti sono eleganti,composti come sono da 6-10 acheni disposti a stella e distribuiti lungo tutti i ramoscelli del corimbo.

'Nessuno è più bello di te, o mia regina!' si proclamava in una fiaba, ma a differenza di quella sovrana quest'erba è anche buona per le sue molteplici proprietà medicinali.

venerdì 28 giugno 2013

Giglio di monte

(Paradisea liliastrum)

(dialettale: )

Sembra un giglio ma i botanici assicurano che non lo è; si sviluppa da un piccolo bulbo che s'espande in una radice fascicolata. Lo incontri a gruppi ai margini dei boschi, nei versanti soleggiati.

Da un ciuffo di foglie basali scanalate e ricadenti ad arco, emerge un fusto cilindrico, dritto e tenero, senza peli, piuttosto alto.


Nella sua parte superiore reca prima dei boccioli allungati dalla punta macchiata di verde e poi, a partire dal più basso, progressivamente sbocciano i fiori.

Ognuno è in corrispondenza di una brattea che sostiene il lungo peduncolo che s'allarga in 6 tepali candidi lanceolati profondamente divergenti.


All'interno sono collocati 6 stami ricurvi verso l'alto coronati da antere giallarancio  avvolgenti uno stilo altrettanto bianco diritto e terminante in uno stimma a pallina.

Meno solenne e sacrale del giglio vero, ma lo stesso richiama alla mente il simbolo della purezza e della castità.


giovedì 27 giugno 2013

Ligustro

(Ligustrum vulgare)

(dialettale: )

Arbusto parente del lillà, ma molto meno appariscente, il ligustro in primavera mostra delle gemme appaiate e scure da cui fuoriescono foglie piccole, coriacee, somiglianti a quelle dell'olivo, solo un po' più scure e disposte ordinatamente su rami regolari e flessibili.

Tale elasticità, naturalmente sfruttata dagli umani, gli ha fruttato anche il nome, da 'ligare-intrecciare' e nell'ottocentesco linguaggio dei fiori evocava la gioventù e nello stesso tempo la necessità di divieti e proibizioni.



L'infiorescenza è una spighetta di fiori bianco giallini i quali spargono, soprattutto di sera, un odore acuto che attira molti insetti, tra cui la farfalla detta Sfinge del ligustro, capace di librarsi sulle ali per starsene sospesa mentre aspira con la lunga proboscide il nettare.

Sulla corolla, a forma di imbuto, si aprono a stella 4 petali acuminati sui quali svettano 2 stami lunghi con antere di proporzioni notevoli rispetto al resto ed un pistillo.



Dopo la maturazione il bianco vira al marrone e i fiori daranno origine a bacche nere e lucide, disposte a pannocchia, particolarmente gradite agli uccelli, ma non commestibili per gli uomini.

La pianta, pur così sobria nelle tinte, è invece una dispensatrice di sostanze coloranti: dalla corteccia un tempo si estraeva un colore giallo, dalle bacche un inchiostro violetto e un colorante per il vino.

mercoledì 26 giugno 2013

Giaggiolo siberiano

(Iris sibirica)

(dialettale: spada)


In terreni torbosi ed umidi, assai frequenti in Valpiana, già da lontano si possono individuare ciuffi di foglie rigide che formano cespi compatti di 'spade' verdi ben erette: col trascorrere degli anni ogni pianta s'infoltisce di nuovi getti, sorgenti dal rizoma in cerca di spazi nuovi, finché pare che la parte centrale s'innalzi rispetto alle laterali.




Questo è di sicuro un bel segno di vitalità che aumenta quando, nel clima frizzante e caldo di giugno, su lunghi steli dal portamento fine e slanciato s'aprono gli affusolati boccioli mostrando corolle  di 6 tepali, simboli di passione, ardore, esplosiva sensualità e fecondità.

Un pittore non avrebbe saputo far meglio nel miscelare le tinte, accostare le macchie, tracciare gli arabeschi che li solcano e tutto per attirare l'attenzione; un architetto non avrebbe saputo ideare delle linee così armoniose ma anche pratiche per salvaguardare stami e pistillo e favorirne la loro funzione.



Sfiorendo, si formano le capsule marroni dei semi, simili ad un calice con tre valve rivolte verso l'alto, ricolme di semi, capaci di ornare la pianta per tutto l'inverno e pronte a rovesciarli tutt'attorno per dare origine a  nuove piantine.

Nei secoli passati gli iris conosciuti furono denominati anche 'fleur de luce': mai nome fu così appropriato!  

martedì 25 giugno 2013

Trifoglio dei prati

(Trifolium pratense)

(dialettale: strafoi)


Un folto cespo ramoso originato dall'allungarsi e dall'abbarbicarsi dei fusti striscianti a terra è riconosciuto da tutti come trifoglio per la caratteristica delle sue foglie di essere composte da 3 segmenti, di forma ellittica, rischiarate sulla pagina superiore da un'arcuata macchia di un verde più tenue.

Ogni foglia, sospesa ad un gambo più o meno lungo che risponde tremolando ad ogni soffio di vento, sfrutta proprio quel po' di luce che capta negli spazi liberi che va ad occupare mentre avviene questa oscillazione generale.


Vi sono poi le foglie, che escono da brattee membranose e ciliate in cima con breve picciolo, sparse lungo i numerosi steli e sull'estremità facendo risaltare un'infiorescenza a palloncino.

I fiori che la compongono non maturano tutti insieme: i primi sono i più bassi ed esterni. Modesti nella loro livrea, su un calice irsuto, si presentano con una corolla formata da un lunghissimo tubo bianco che si apre in 5 petali, uno superiore a forma di stendardo più visibile, due uniti in basso e 2 laterali, di un bella sfumatura fucsia o rosa con all'interno un pistillo doppio e qualche stame.


Singolarmente nulla di particolare, ma quando tutto il globo è fiorito, insieme a mille altri, l'effetto cromatico è notevole.



Ci hanno pensato anche gli uomini a rendere speciale questa pianta, ritenendo che lo stelo rappresenti l'Uno e le 3 foglie la sua manifestazione; addirittura in certe fiabe irlandesi si raccontava che fossero gli elfi a succhiarla golosamente e se un uomo avesse trovato il re dei trifogli, cioè il raro quadrifoglio, gli sarebbero apparsi in carne ed ossa. E in questo modo è diventato il portafortuna per eccellenza.

lunedì 24 giugno 2013

Cresta di gallo

(Rhinanthus )

(dialettale: erba cantarela)


Appare abbastanza spavalda questa pianta con quei fiori gialli che sembrano proprio il becco di un gallo, dopo essere spuntati dal calice seghettato che potrebbe rammentare il profilo di un pulcino pigolante.

Anche la loro consistenza, quasi cartacea, suggerisce l'idea che possa resistere senza grossi traumi agli inconvenienti che il prato, dove spesso cresce in grandi quantità, le può riservare.


Inoltre è molto adattabile tanto che la sua struttura varia a seconda della stagione di fioritura, del luogo e probabilmente anche delle diverse piante erbacee su cui impianta i suoi organi succhiatori vivendo, da semiparassita, in parte a spese del suo ospite.


La sua struttura è complessa perché sviluppa un fusto eretto, ma con vari rami laterali e opposti che la fanno sembrare un candeliere: nei nodi e negli internodi crescono delle foglie con margini dentati, verde pallido.

Nella parte terminale, adagiate su grandi brattee triangolari seghettate e talvolta provviste di appendici filiformi rigide, sta un calice che s'accresce e si gonfia man mano che procede la fioritura, dal quale fuoriesce in parte il fiore, formato da una corolla gialla costituita da un tubo che si suddivide in due labbri aperti o chiusi. Nella parte superiore sono presenti due denti conici viola e sotto sono disposti i 2 stami più grandi dei 4 a disposizione.


Insomma riconoscere la specie di questa pianta rappresenta quasi un enigma: altrettanto incomprensibile è il fatto che un tempo, qui da noi, le ragazze, il 24 giugno, festa di San Giovanni, all'alba  ne raccoglievano un gran mazzo e con la rugiada depositata si lavavano il viso.

domenica 23 giugno 2013

Piantaggine

(Plantago media)

(dialettale: piantal)


Vive sola o vicina ad altre piante sorelle fin sotto i nostri piedi e sopporta di essere schiacciata, lacerata, corrosa, diserbata, ignorata da molti, ma continua a riapparire, dignitosa e forse più consapevole degli umani dei suoi pregi.

Non era così negletta nei tempi antichi, quando era ritenuta un vero e proprio toccasana, definita 'erba sacra' dagli Anglosassoni e 'centonervi' dalla scuola medica Salernitana. 


Anche a me, molto piccola, quando la farmacia era un termine quasi sconosciuto, era stato spiegato che se un'ape o altro insetto ti pungeva, bastava cercare le sue foglie, e di solito erano lì a poca distanza, schiacciarle in modo che uscisse un po' di succo e premerle sulla puntura: il bruciore spariva in breve tempo.

Le sue foglie molto regolari nella forma e nella disposizione a corona attorno allo stelo fiorifero centrale sono percorse da 5-9 nervature quasi parallele e molto in rilievo, come vene di mani anziane, nella pagina inferiore, mentre nella superiore, in corrispondenza, si evidenziano delle linee incise poco profonde.

Alla sommità del lungo gambo solitario e abbastanza consistente sono fittamente raggruppati insignificanti fiori con calice verde, 4 minuti petali biancastri e, per compensare, 4 lunghissimi stami rosei con antere grosse come tutto il fiore.


Essi appaiono man mano che i fiori sbocciano dal basso verso l'alto e, avvolgendo gradatamente la spiga, le fanno assumere l'aspetto di una delicato piumino da polvere che, nel momento dell'appassimento, diventata marronastra, sembrerà un insetto peloso.

sabato 22 giugno 2013

Gramigna di Parnasso

(Maianthemum bifolium)

(dialettale: )


Nei posti ombrosi dove poco altro regna, questa pianticella rustica, mediante il suo rizoma lungamente strisciante, mostra una buona capacità di invasione di spazi talvolta abbastanza ampi; non per nulla è soprannominata 'gramigna', anche se poi 'Parnasso' sembra attribuirle una patente di nobiltà o di esotismo.

Inizialmente si manifesta con un'unica foglia su un lungo picciolo, a cui segue la formazione di uno stelo corto ed esile sul quale si dispone una coppietta di foglie verde chiaro a forma di cuore allungato.


Infine sulla parte terminale appare un'infiorescenza con tanti fiori minuti ma vaporosi, color bianco lucido con 4 tepali distanti tra loro e tendenti a curvarsi.

Tra di essi sporgono 4 stami con antere arrotondate che fanno corona ad una specie di urna che s'assottiglia nello stilo cereo.


Il suo profumo è delizioso, ma talvolta inganna sulla bontà di chi lo emana: infatti la gramigna di Parnasso è una specie tossica.

venerdì 21 giugno 2013

Rovo

(Rubus fruticosus)

(dialettale: roai)


Non gode di buona fama il rovo: già protagonista di una parabola del Libro dei Giudici nella quale si insinua che la conquista del potere anche tra le piante è spesso di chi non ha altro da offrire se non la propria arroganza, citato speso nella Bibbia dove impiglia qualcuno, indicato nella fiaba di Rosaspina come ostacolo insormontabile per i principi che la vogliono risvegliare, ricordato nel Rinascimento come simbolo di ogni sorta di vizi.

Naturalmente queste dicerie scaturiscono dal fatto che tutta la pianta, fusti, piccioli, retro delle foglie, grappoli dei fiori sono muniti di innumerevoli spine ricurve ed aguzze che, se ti agganciano, ti straziano.


Eppure all'apparenza sfoggia eleganti rami inarcati, foglie a 3 o 5 riunite insieme in una foglia composta la quale, d'autunno, si tinge d'un bel rosso violaceo come i suoi frutti e come i nuovi getti primaverili; se le gemme all'apice toccano terra, sono in grado di sviluppare radici e conquistare rapidamente nuovi territori.

L'elemento più debole è il fiore: quando il bocciolo biancastro si dischiude, i 5 petali appaiono spiegazzati come un tessuto di lino non stirato; non ha nettare e la sua esistenza si conclude in poche ore.


Per fortuna porta numerosissimi stami che, caduti i petali, s'abbassano e stanno aderenti al gambo formando un ricettacolo spugnoso sul quale gli stili  si gonfiano facendo apparire piccole drupe prima verdi, poi rossastre, infine nere e succose.

E con la loro dolcezza sono le vere ammaliatrici, capaci di far dimenticare la prepotenza e la violenza che ad ogni contatto il rovo usa.

giovedì 20 giugno 2013

Scherzo


Il bosco di primavera
ha un'anima, una voce.
È il canto del cuccù,
pieno d'aria,
che pare soffiato in un flauto.





Dietro il richiamo lieve,
più che l'eco ingannevole,
noi ce ne andiamo illusi.
Il castagno è verde tenero.
Sono stillanti persino le antiche ginestre.





Attorno ai tronchi ombrosi,
fra giochi di sole, 
danzano le amadriadi.


 (Vincenzo Cardarelli)


mercoledì 19 giugno 2013

Succiamele

(Orobanche gracilis)

(dialettale:  )


Arcobaleni di fiori dipingono i prati di Valpiana con un così perfetto accostamento di forme e di tinte da chiedersi chi mai può aver ideato una tale gradevolezza per l'occhio; ma, improvvisamente, può capitare di avvistare una nota stonata, una pianta che sembra in conflitto con le altre.

Se ne sta impettita sul suo fusto cilindrico piuttosto grosso, rivestito di misere foglioline triangolari che nella parte più in alto fanno anche da mensola ai fiori disposti a spiga.



Visti di fronte essi sembrano bocche socchiuse dal fondo rosso sangue e dal labbro superiore spunta uno stimma vistoso simile a due denti gialli; seminascosti all'interno della corolla, che è una specie di tubo esternamente giallastro con lembo superiore a cupola e l'inferiore diviso in 3 lobi, stanno 4 stami pelosi rossastri.



Quando uno dei suoi semi, in grado di superare anche grandi distanze, germina, emette un filamento che s'allunga verso il basso e, senti senti che vigliaccata, trovata una radice di suo gradimento vi si attacca mettendosi in diretta comunicazione con i suoi vasi e comincerà a crescere finché riemergerà all'aria sotto forma di spiga fiorita.

E tu vedi che attorno ad essa, sanguisuga vegetale, si fa lentamente un vuoto perché, succhia oggi succhia domani, la povera pianta ospite comincerà a patire fino a morirne.

martedì 18 giugno 2013

Salvia

(Salvia pratensis)

(dialettale: salvia selvarega)


Da piccoli non si sapeva nulla di leve e fulcri, ma si sfruttavano i loro principi per giocare: uno dei divertimenti, quando la bella stagione permetteva di sostare a lungo nei prati, era infilare uno stelo d'erba nella 'bocca' della salvia dei prati, spingerlo contro una piccola conca nel fondo per il gusto di far muovere verso il basso un lungo archetto biancastro e gridare:-Magia!


Questo congegno nascosto nel fiore è una struttura di straordinaria efficienza ideata dalla pianticella per favorire l'impollinazione: il labbro superiore, derivato da 2 petali saldati tra di loro, a forma di cappuccio ricurvo, contiene le parti terminali di stami e pistillo; il labbro inferiore formato da 3 petali concresciuti facilita l'appoggio degli insetti, di solito api.

Essi, spingendo verso il fondo alla ricerca del nettare, fanno scattare il meccanismo: premendo una specie di valvola a cucchiaio derivata da uno stame sterile obbligano lo stame sul braccio lungo a curvarsi verso il basso e a  rovesciare il suo contenuto su di loro.

In pratica un piccolo spostamento del braccio corto si traduce in un contemporaneo ampio spostamento del braccio lungo che torna nella posizione ordinaria quando l'insetto si ritira.


Continuando le visite, prima o poi l'ape troverà un fiore con gli stami ormai avvizziti, ma con lo stilo più incurvato in modo da poter lambire il suo corpo ed impollinarsi.

I fiori hanno un aspetto elegante e fresco, e ravvivano i prati con il loro colore azzurro-violaceo contrastante con i gialli dei ranuncoli e i bianchi delle margherite.


Si sviluppano a spiga su un fusto quadrangolare e poco ramoso che proviene dal centro di un cespo di foglie ruvide e bollose superiormente, leggermente pelose di sotto.

Pestiamo, tagliamo, estirpiamo questa pianta senza pensarci: eppure in tempi lontani Carlo Magno ordinò che avesse un posto d'onore in ogni orto, perché già il suo nome dal latino 'salvus- sano, salvo' dice tutto.

lunedì 17 giugno 2013

Latte di gallina

(Ornithogalum umbellatum)

(dialettale: )


Sobriamente semplici, queste bulbose si stabiliscono in zone soleggiate ed erbose e sono capaci, se lasciate tranquille, di occupare anche notevoli distese.

Forse sono i resti di quelle che un  tempo erano coltivate ed apprezzate come alimento, perché i loro bulbi, usati come ortaggi, venivano portati in tavola bolliti.


Tra foglie basali di forma lineare s'accresce un ciuffo di boccioli che lentamente si dispongono ad ombrello piuttosto rado, forse perché ogni fiore abbia uno spazio adeguato quando i suoi 6 tepali, di un bel colore bianco con strisce verdi che restano occultate nella parte inferiore, si aprono a stella.

La loro  caratteristica è la precisione quasi svizzera  nell'orario di apertura della corolla che apre i battenti solo nelle ore centrali della giornata, di solito fra le 11 e le 15, per cui i francesi la chiamano 'signora delle ore 11'.


Il suo nome scientifico da cui deriva lo strano appellativo italiano significa 'latte di uccello' e poiché questo non esiste, l'espressione è stata coniata per alludere ad un evento portentoso, quasi impossibile a verificarsi.

domenica 16 giugno 2013

Pallone di maggio

(Viburnum opulus)

(dialettale: )


Può capitare che il clima decreti che il pallone di maggio diventi pallone di giugno come è accaduto quest'anno in Valpiana: ma anche così le sue infiorescenze ad ombrella, erette, impalcate su sei sette raggi principali che portano due tipi diversi di fiori hanno sviluppato la loro strategia primaria di sopravvivenza.

Essa consiste nella suddivisione del lavoro: infatti esternamente sono disposti i fiori sterili, belle e grandi corolle candide il cui compito è rendere visibile la distesa di fiori fertili, raggruppati in centro con 5 minuscoli petali e 5 stami che devono accogliere gli insetti e lasciarsi fecondare.
Ecco un esempio di come qualcuno offre la propria bellezza per il bene comune.



Appena impollinati, tutti imbruttiscono rapidamente: le corolle degli sterili perdono coesione con il peduncolo, oscillano sul perno e si lasciano portar via dal vento, mentre i fertili lentamente si trasformano in frutti dapprima verdi e poi rosso lacca, lucidi e un po' trasparenti.

La pianta è un bell'arbusto verde chiaro, detto 'opulus' perché la sua foglia assomiglia molto a quella dell'acero campestre che i Romani chiamavano appunto così e che veniva usato come sostegno delle viti.


A seconda dei bisogni le sue foglie possono rialzare i bordi e incresparsi per far posto a tutte e in autunno si colorano di un bel rosso  che pare voler sottolineare le ciocche delle belle bacche turgide capaci di restare attaccate al picciolo anche sotto un'abbondante nevicata.

sabato 15 giugno 2013

Silene

(Silene vulgaris)

(dialettale: sciopet)


La parte fogliare si sviluppa assai presto su fusti rigidi con nodi evidenti da cui escono le foglie che sono opposte, oblunghe ed appuntite, di un bel colore glauco e su di esse la pioggia e la rugiada scivolano via per la loro consistenza cerosa; cucinate s'ammorbidiscono e si mangiano in vari modi.


S'innalza poi un lungo fusto sul quale s'ingrossa un calice biancastro o di color neutro, percorso da un reticolato venoso più scuro e terminante con 5 punte: era un vero gioco un tempo far scoppiare questi palloncini battendoli in fronte e gareggiare per vedere chi produceva lo scoppio più forte.


Da questo piccolo otre penzolante s'affaccia una corolla composta da 5 petali bianchi profondamente suddivisi in punta ed avvolgenti gli stami piuttosto corti e quasi del tutto racchiusi nel calice, dal quale invece sventolano 3 pistilli.


La struttura dell'infiorescenza che si compone piano piano è singolare: alla sommità dello stelo si forma il primo fiore e poi sotto spuntano due ramoscelli a loro volta con un fiore terminale, al di sotto del quale si sviluppano altri due ramoscelli e si potrebbe continuare all'infinito come nella filastrocca 'C'era una volta un re seduto sul sofà....'.


venerdì 14 giugno 2013

Aquilegia

(Aquilegia vulgaris)

(dialettale: amor in collera)


Non può che essere una vera adescatrice d'attenzione l'aquilegia, anche se comune nei prati di Valpiana, per la forma singolare del fiore e per il colore insolito, un misto di bruno, viola, rossiccio e chissà cos'altro. 



La pianta che s'innalza bella diritta dal ciuffo basale di foglie ha uno stelo che, ramificandosi alquanto, porta numerose infiorescenze solitarie o a gruppetti di due, tre e qualche fogliolina tendente all'azzurro ceruleo, cosparsa di una fine peluria.

 I fiori appaiono, a dir poco, bizzarri: i cinque sepali del calice si mettono abbondantemente in mostra, disponendosi a stella e assumendo la stessa colorazione dei cinque petali e della corolla, più interni ed arrotondati a dar forma ad una specie di ciotola aperta verso il basso e terminante in alto con cinque speroni ricurvi, adatti a contenere il nettare. 




Nel bel mezzo di questa pendula campanella, s'annida un fascio di stami giallastri attorno a cinque pistilli.




Incerta è l'origine del nome, anche se qualcuno suppone che derivi da 'aquila' per la somiglianza dei suoi speroni ai rostri del volatile. Visto l'aspetto un po' cupo, e il fatto che può essere tossica, il nome dialettale attribuitole doveva far pensare a situazioni amorose travagliate.

giovedì 13 giugno 2013

Sambuco

(Sambucus nigra)

(dialettale: sanbuc)




È una bellezza fatta di trine quella del sambuco, che in primavera si copre di una moltitudine di ombrelle, simili a delicati pizzi di fiori bianco crema, e in estate regala altrettante distese di minuscole e succose bacche nero violaceo.


Cresce con generosità quasi ovunque, nelle siepi e al margine dei boschi, ma soprattutto vicino alle case di campagna, dove il terreno è più fertile, sottoforma di arbusto opulento, con rami dalla corteccia verrucosa color fango.

Dopo le foglie composte di un bel verde scuro, si sviluppano i fiori mostrando contemporaneamente diversi stadi di maturazione: piccolissime palline verdi, ognuna sorretta dall'impalcatura del suo ramo, palline biancastre come perline e poi al centro i primi fiori aperti con cinque petali bene allargati e saldati insieme e cinque stami negli intervalli, con capocchia gialla, a contornare il pistillo tondo e rilevato.


Il tutto appare come spuma tremolante al soffio del vento che diffonde anche il suo acuto profumo come annuncio delle molte virtù della pianta.   


Lo sapevano bene gli antichi, che ritenevano disponesse di poteri magici. Per i Celti rappresentava la dimora di Holda, fata dai lunghi capelli d'oro e degli elfi e i contadini, per renderle omaggio, si prostravano ai suoi piedi sette volte, in onore delle sue sette virtù medicamentose. Non solo: fu dall' usanza di far realizzare con i suoi rami (svuotati dal midollo) uno strumento musicale, il sambýkē, che la pianta ebbe il suo nome.  

mercoledì 12 giugno 2013

Asfodelo

(Asphodelus albus)

(dialettale:)

 

Secondo gli antichi, l'asfodelo è il fiore del giardino ultraterreno, dove sono collocati i defunti che in vita non sono stati nè buoni nè cattivi. 
  Incontrarne un prato pieno, come è capitato a me in Valpiana, è stato dunque come visitare una delle case dei morti, tanto più che è simbolo del ricordo e della malinconia. 


Chissà se questa credenza dipende dall'aspetto di questo fiore: un po' sì, forse, ad esempio per la tinta di alcune sue parti, verde cupo e nero, accanto al bianco e al giallo carico. Spicca anche il contrasto tra l'aspetto severo del fusto, alto e massiccio, avvolto da foglie larghe, piatte e leggermente ricadenti a doccia, e il candore del fiore stellato che, quando è aperto, mette in mostra sei tepali bianchi venati al centro di una linea verde e sei robusti stami con antere dorate.  


È una liliacea prudente questa: infatti, le sue radici si ingrossano, si gonfiano, per nutrire qualche gemma dimenticata nella parte inferiore del fusto e che sarà quella da accudire e portare a nuova vita nella primavera successiva.


Proprio questo bulbo rizomatoso era ritenuto la parte migliore e, in tempi lontani, era usanza mangiarlo con i fichi o cucinarlo nella cenere con aggiunta di sale ed olio. Perfino Pitagora ne era ghiottissimo, e gli ha fatto certamente bene!

martedì 11 giugno 2013

Sanguinella

(Cornus sanguinea)

(dialettale: pomela da oio)



Rossi come il sangue sono i suoi rami nudi, tondi, lucidi e lisci quando il primo sole primaverile li illumina; di rosso fegato, quasi violaceo, si colorano le foglie d'autunno. 


Leggermente rossicci anche i boccioli piccolissimi, contornati e protetti da numerose foglie: si affollano in minuscoli mazzi e impiegano gran tempo ad aprirsi tanto che aspettano giugno quando la pianta s'è completamente rinverdita. 


E anche quando sono schiusi, nessuno bada a loro, sono troppo rustici: esili, quattro petali in croce e quattro stami, una capocchia verde alla sommità e un profumo un po' acre. Anonimi!


Si trasformeranno in bacche globose bluastre, piene di un liquido denso, dentro cui sta il seme. In quest'epoca, soltanto gli uccelli li apprezzeranno.

Un tempo, invece, quando il rapporto tra uomini e natura era più costante e diretto, e quindi i doni che ci si poteva scambiare erano ben conosciuti, se ne ricavava olio da lume e grasso per gli scarponi. Anche i rami più giovani, flessibili e diritti si trasformavano in vimini per fare contenitori di ogni tipo.