giovedì 30 maggio 2013

Maggiociondolo

(Laburnum anagyroides)

(dialettale: jegol)


Capita di incontrare nella'aria incantata di piena primavera delle siepi che risplendono costellate di una pioggia di eleganti e snelli grappoli color oro intenso: è la fioritura del maggiociondolo, l'unica che si concede ogni anno.

Piccolo albero deciduo, espande una chioma rada e leggera: le sue foglie emergono ad una ad una, tre per ogni picciolo, ovattate di peli argentei. Sono in grado di subire spostamenti di orientamento durante la giornata in rapporto alla luce e al calore che ricevono.


Quando fa molto caldo d'estate addirittura si lasciano penzolare come fossero stanche morte ed in effetti molto precocemente il loro margine si raggrinza e si formano macchie brune che le corrodono imbruttendole e facendole cadere.

I fiori si mettono veramente in mostra, non solo per la tinta e il ritmico oscillare al vento, anche per dei segnali bruno rossastri nel petalo superiore dove gli insetti sostano provocando l'allargamento delle brattee laterali e il sollevamento della carena.


Nella fessura, larga quanto basta perché l'ospite introduca il capo, esso spinge e fruga così le antere scaricano il polline o, se il fiore è maturo, lo stilo si protende per farsi infarinare.

Ma  può essere che una pianta così dolce e soave d'aspetto, così eterea e leggiadra, abbia un'anima talvolta subdola e pericolosa? È il dubbio che si lega anche alla sua simbologia.

Non c'è dubbio alcuno che le foglie, velenose per capre e cavalli, non lo siano per i cervi, che conigli e lepri rosicchino impunemente la sua corteccia, che per gli umani rappresenti sempre un pericolo.