lunedì 6 maggio 2013

Coda cavallina

(Equisetum arvense)

(dialettale: coa de mus)


Nel suo piccolo, il fusto sterile estivo dell'equiseto fa concorrenza al maestoso abete assomigliandogli nella forma: è un minialberello dotato, lungo il fusto e nei punti sottolineati da nodi, di collettini di rametti eretti che diminuiscono di lunghezza man mano che s'avvicinano alla cima, così sottili da sembrare aghi tremolanti.

Per assegnargli un nome si è ripiegato però su una somiglianza più prosaica: lo si è visto come una coda di cavallo , mancandogli sicuramente di rispetto, perché esso è un organismo tra i più diffusi ed antichi della terra.

I suoi resti fossili indicano la sua presenza già 400 milioni di anni fa circa, quindi i suoi occhi vegetali ne hanno viste ben più degli uomini!

Testimonia la sua  vetustà anche la sua organizzazione 'sessuale' rimasta 'primitiva'; su un altro fusto, che invece appare precocemente in primavera, porta delle spore che, propagandosi con vari movimenti a seconda dell'umidità del terreno dove cadono, danno origine a nuovi rizomi, che sono la porzione strisciante, sotterranea, invisibile da cui si dipartono questi elementi aerei.


L'allungamento fertile è bianco-ocraceo, con guaine a più punte distanziate con regolarità lungo il fusto e termina con una specie di cappuccio globoso, una specie di cono ben gonfio di spore tutte uguali.


La pianta non è conosciuta per la sua infiorescenza, particolare ma non certo appariscente, ma nel fatto che le sue parti sono impregnate di silice per cui manifesta un buon potere mineralizzante entrando a far parte di diritto delle erbe curative.